Dunque, ci sono emozioni e emozioni. C’è l’educazione e la conoscenza che sono in grado di farci apprezzare cose più o meno complesse. Ci sono le nostre opinioni in merito alle cose del mondo che ci siamo costruiti direttamente o indirettamente. Ci sono elementi ed individui accreditati, degni di essere ascoltati e verso i quali propendiamo positivamente e altri meno e, tutto ciò, rimescolato in un immenso crogiolo di carne e anima, fa di noi quello che siamo e quello che in potenza potremo essere in futuro.
Poi? Poi c’è la vita, quella di tutti i giorni.
Nel quotidiano queste cose orientano, dispongono, mi fanno notare qualcosa ed ignorare qualcos’altro, ma ad un livello che spesso non assurge a consapevolezza; un po’ come i miliardi di operazioni che ogni mia singola cellula compie ogni istante per restare viva – per tenermi vivo – di cui non sono affatto cosciente.
Di cosa sono coscienti, allora?
Cosa attrae maggiormente la mia attenzione?
Su quali convinzioni e fatti costruisco la mia vita, o forse, sarebbe meglio dire, la mia quotidianità?
Insomma, chi mi dice cosa è o no importante?
Fino a che punto mi posso fidare delle mie sensazioni?
Fino a che punto sono solito prestare orecchio ad esse?
Ad un certo punto sono arrivato ad un’estrema sintesi, fatta di solamente tre parole, che mi hanno aiutato a superare una certa situazione di stallo. Qualcosa non quadrava in tutto ciò e non riuscivo a trovare un ordine alle contraddizioni che percepivo, e che ancora percepisco, su come tutto ciò e la vita di tutti i giorni si accordasse.
Le tre parole sono: DOVERE, SACRIFICIO e COLPA.
Scremando, sottraendo, ripulendo e focalizzando sono arrivato lì, dove stanno queste tre parole, che poi sono “concetti”, seduti su troni di pietra, sopra le vette di montagne impossibili da scalare: il senso del dovere, del sacrificio e il senso di colpa. Ho cominciato a pensare a loro come elementi fondamentali, filtri, motori, matrici che “MI DICONO COSA FARE E COME PENSARE!”
La strada per arrivare lì è nebulosa e contorta. Alle volte credo faccia acqua da tutte le parti, e quando l’ho intrapresa non me ne rendevo nemmeno conto. È stato l’insieme di molte cose: fatti che nell’arco di un tempo lungo, forse lunghissimo, sommando il “tutto” nel crogiolo, pestando e rimestando, nelle notti insonni, nelle lunghe passeggiate con i miei cani, mentre qualcuno mi parlava e io non lo ascoltavo, affondato nelle pagine di un libro, rapito dai fumi dell’alcool in una serata con amici, sordo al mondo per le note di un brano musicale amato, annoiato al volante dell’auto, chissà, chissà come, ma sono arrivato al cospetto dei tre troni di pietra, sopra montagne che non si possono scalare, senza rendermene conto e, comunque, anche ora pensando che tutto questo può essere, semplicemente, nulla.
Ora torno indietro con la mente per recuperare alcuni fatti e riflessioni per poter, un giorno, raccontare di questa nebbiosa strada. Spero che altri arrivino, usandola come incipit magari, al cospetto di cose diverse. Che arrivino a qualcosa di più luminoso e gioioso rispetto ai tre troni che ho incontrato io e che mi angosciano come un racconto del mio amato H.P. Lovecraft.
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